Come funziona la psiche

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Come funziona la nostra psiche?

Quando parliamo del funzionamento psichico dell’essere umano dobbiamo distinguere gli ingredienti che costituiscono la mente, i livelli di funzionamento della mente e il processo evolutivo attraverso il quale la mente si sviluppa.
L’organismo si struttura attraverso dei processi di maturazione che sono facilitati, inibiti o distorti dalla relazione con l’ambiente sociale e fisico. La psiche si costruisce attraverso le costanti relazioni tra il bambino e gli adulti che si prendono cura di lui; le interazioni umane sono costituite da pensieri, sentimenti e comportamenti. Nei primi mesi di vita, le interazioni sono costituite prevalentemente da emozioni, sensazioni, movimenti motori, vocalizzi. Questo livello di funzionamento mentale è denominato: processo primario, conoscenza implicita. Con la maturazione del sistema nervoso e la comparsa del linguaggio, il bambino accederà sempre più al funzionamento mentale conscio, razionale; funzionamento che maturerà pienamente intorno ai 10-12 anni, detto anche “pensiero ipotetico-deduttivo”.
Gli ingredienti della psiche sono i pensieri, le emozioni e i comportamenti, mentre i livelli di funzionamento sono due: livello conscio e livello inconscio.
Il processo evolutivo è quell’insieme di processi maturativi dell’organismo, in interazione con l’ambiente.

In che modo ciò contribuisce a formare la nostra mente?

Il bambino appena nasce inizia a interagire con l’ambiente e con i genitori, con dei movimenti automatici; piano piano inizierà, grazie all’interazione con gli adulti, a finalizzare le sue azioni per vivere nel mondo.
Quello che il bambino apprenderà all’inizio della sua esistenza, è il clima determinato dalle persone intorno a lui. Il bambino utilizza i primi ingredienti che ha a disposizione: le emozioni e i movimenti muscolari (il comportamento).
Le emozioni di base sono: rabbia, paura, dolore, gioia, disgusto.
Il livello di funzionamento sarà prevalentemente quello affettivo-emotivo, quindi il livello inconscio-non verbale. Il bambino non capisce le parole degli adulti, ma comprende i loro vissuti emotivi; il suo organismo può comprendere se gli altri provano emozioni piacevoli o spiacevoli.
Se sente pericolo, si irrigidisce; se sente sicurezza, potrà rilassarsi.
E’ intuitivo comprendere che la paura ci porta a contrarci, la sicurezza a rilassarci.
Se il bambino potrà fidarsi, quindi rilassarsi per la maggior parte del tempo, allora potrà sviluppare le  sue predisposizioni naturali, fare esperienza, sperimentare e così poter comprendere cosa gli piace fare e cosa sa fare meglio. Insomma, può iniziare a costruire il suo modo di esistere al mondo.
Se invece dovrà difendersi per la maggior parte del tempo, perché si sente minacciato, allora dovrà attivare le sue capacità in tal senso e poco spazio gli rimarrà per sperimentare.
Pensare significa poter riflettere su ciò che sentiamo emotivamente, significa riflettere su cosa fare di queste informazioni, per pianificare le nostre azioni al fine di procurarci il cibo, una casa, vivere insieme agli altri ed esprimerci.
Man mano che il bambino cresce, dovrà fare i conti con il fatto che l’ambiente non può essere sintonizzato costantemente con i suoi bisogni.
E’ come se il nostro organismo nel suo sviluppo, impari dapprima ad avere fiducia o sfiducia del mondo; sulla base di questa prospettiva si svilupperà la persona.
Se le esperienze negative e spiacevoli sono superiori a quelle piacevoli, se il bambino non ha un adulto che lo aiuti a contenere e a elaborare le sue emozioni, oltre a sviluppare la capacità di riflettere, allora questo determinerà delle inevitabili aree di conflitto.
Le ricerche attuali, ci dicono che le difficoltà psicologiche nascono dall’impossibilità di accogliere vissuti emotivi spiacevoli; tecnicamente si dice che abbiamo una scarsa capacità di mentalizzare o una carenza della funzione riflessiva.
Significa che per l’essere umano è utile imparare a utilizzare il linguaggio, per comprendere ciò che sente e che pensa; quando non possiamo utilizzare il linguaggio per elaborare le esperienze spiacevoli, allora questi vissuti devono trovare un modo di esprimersi; gli attacchi di panico ne sono un esempio.
Secondo l’Analisi Transazionale (il modello teorico che io utilizzo nel mio lavoro), noi siamo costituiti da tre parti, denominate stati dell’Io:

una parte che proviene dai modelli ereditati dai nostri genitori – stato dell’Io Genitore
una parte che proviene dalla nostra esperienza infantile – stato dell’Io Bambino
una parte che è connessa a ciò che viviamo nel momento presente, che chiamiamo stato dell’Io Adulto

La nostra mente è un insieme di schemi costituiti dalle interazioni Genitore-Bambino. Di seguito alcuni esempi.

Una paziente si presenta da me per attacchi di panico, accompagnati da una generale sensazione d’impotenza e ansia generalizzata.
In poco tempo, alcune settimane, il sintomo scompare e la paziente decide di continuare, per comprendere e rimuovere le cause sottostanti.
Andando avanti nel lavoro clinico, la paziente scopre che aveva sepolto la sofferenza per non essersi sentita amata dalla madre; scopre la “madre fredda e critica”, da cui avrebbe desiderato calore, un abbraccio, sentirsi amata e desiderata.
Nello stato dell’Io Genitore abbiamo “la madre fredda”; nello stato dell’Io Bambino abbiamo la bambina bisognosa di amore.
Lo stato dell’Io Adulto è, diciamo noi analisti transazionali, contaminato dalle esperienze infantili G-B.
Questo impasse, questo blocco G-B, quest’esperienza infantile, ha determinato la scelta di una vita senza amore. La paziente ha cercato di procurarsi l’amore, amando per prima lei stessa gli altri e sperando di riceverlo in cambio. “dato che la persona più importante per me non mi ama, allora amerò io gli altri e così forse sarò amata”.
Così tutta la vita questa persona ha amato gli altri, ma come prevedeva il suo copione ha sempre scelto partner incapaci di vera affettività, come la madre. Allora com’è che è riuscita a vivere senza amore per così tanto tempo?
Perché come avvenne nell’infanzia, così nell’età adulta, si prendeva un po’ d’affetto dalla sorella.
Appena la sorella muore, il sistema si scompensa e compare l’attacco di panico.
La sua personalità è stata condizionata per tutta la vita da quella bambina, che cercava di prendere la mano di mamma e di portarla sul suo capo, per comunicarle che voleva un suo segno di affetto.
E’ come se la vita si congelasse in queste scene e il resto non fosse altro che la riedizione di quest’ impasse nella speranza che prima o poi quel bisogno insoddisfatto sia riconosciuto.
Forse abbiamo bisogno che oggi qualcuno veda quel dolore, per poter far pace con ciò che avremmo voluto e che non è stato.
In tal senso, ogni processo di crescita è un processo di elaborazione; anche di elaborazione di lutti per ciò che abbiamo perso.
Come diceva Freud, l’Io è un sedimento d’investimenti oggettuali abbandonati; cioè la nostra psiche si compone di quelle relazioni importanti da cui ci siamo separati, ma che costituiscono ciò che siamo.
Abbiamo visto che la nostra mente è fatta di relazioni; le ricerche hanno dimostrato che il bisogno fondamentale dell’essere umano è la relazione con gli altri esseri umani e in particolare il bisogno di riconoscimento.
Eric Berne, padre fondatore dell’Analisi Transazionale, aveva raccolto le iniziali ricerche sullo sviluppo umano ed ha sostenuto che l’uomo ha bisogno di carezze, intendendo con ciò il bisogno di contatto umano, un bisogno fondante per uno sviluppo umano sano.
Noi siamo fatti per comprendere gli altri, per vivere con gli altri, per costruire significati quella cosa che chiamiamo cultura.

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