Cos’è la diagnosi

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La diagnosi: un processo di conoscenza relazionale

La diagnosi è un processo attraverso il quale lo psicoterapeuta ha l’obiettivo di comprendere il funzionamento psicologico della persona, al fine di poter individuare il piano terapeutico adeguato e il professionista con le corrette competenze per svolgere tale piano terapeutico.

Attualmente esistono due diversi modi di intendere la diagnosi:

  • La diagnosi nosografica
  • La diagnosi idiografica o esplicativa

La prima mira a rilevare i sintomi del paziente, per comprendere a quale categoria sindromica clinica conosciuta possano corrispondere e poi fornire la relativa cura, prevalentemente di tipo farmacologico oppure una psicoterapia breve.

La seconda mira a comprendere il significato del sintomo, cioè:

  • In che modo il sintomo è connesso alla personalità del soggetto
  • Perché questo sintomo compare proprio ora
  • Qual è la personalità del soggetto, in altre parole quale sia il suo funzionamento globale e i suoi bisogni non soddisfatti

Così, si cerca di comprendere in che modo la persona si sia sviluppata, cercando di individuarne sia le caratteristiche costituzionali, cioè temperamentali, sia le qualità apprese nella relazione con le persone significative della sua vita, sia le sue aspirazioni, le sue delusioni, l’immagine di sé, la sua autostima e i suoi valori.
In questa prospettiva, la diagnosi è dunque un processo relazionale, cioè avviene attraverso una relazione umana, che è veicolo stesso della diagnosi.
Ciò significa che lo psicoterapeuta condividerà con il paziente che, proprio ciò che accade nella loro relazione, diventa un’informazione utile ai fini della comprensione del problema.

E’ evidente che chi scrive aderisce alla seconda prospettiva.

ERIC BERNE E LA DIAGNOSI COME PROCESSO DI CONOSCENZA

Come conosciamo le cose? E ancor meglio, come conosciamo le persone?

Berne è stato uno dei primi psichiatri a porre attenzione a quei processi psicologici che oggi vengono definiti impliciti, cioè che avvengono al di sotto della soglia della coscienza, individuando così due modalità di conoscenza dell’altro: l’intuizione e l’osservazione. Per Berne la diagnosi è il risultato di un processo congiunto tra questi due aspetti.

L’osservazione si riferisce al primo tipo di diagnosi sopra descritta, che utilizza prevalentemente la dimensione razionale. È la diagnosi medica in senso classico: osservo che il paziente ha la pelle arrossata, sudorazione, muove nervosamente le mani, etc. quindi egli ha la malattia X.

L’intuizione si riferisce in parte al secondo modo di fare diagnosi. Berne ha messo in risalto come l’intuizione sia il modo naturale di conoscere. Tutti abbiamo la capacità di intuire; è quella capacità che ci fa dire dopo pochi minuti se una persona ci piace o no. L’intuizione non è un processo magico: oggi sappiamo che esistono dei neuroni deputati a riconoscere i movimenti muscolari del nostro interlocutore, capaci di elaborarli e di produrre una risposta comportamentale istintiva, ad esempio di avvicinamento o allontanamento, senza la consapevolezza di come sia avvenuto questo processo.

L’intuizione è sapere una cosa senza sapere qual è stato il processo che ci ha condotti a saperlo.

Berne sostiene che entrambe le capacità sono importanti, ma senza l’intuizione lo psicoterapeuta non potrà andare più in là di un certo punto.

Di seguito un esempio d’intuizione.

Un paziente si presenta. Spesso io registro le sedute, dopo aver chiesto il consenso; alcuni mi dicono di si mentre altri preferiscono di no.
Con questo paziente io decido di non chiederlo; l’avevo appena incontrato, si era seduto da qualche minuto. A un certo punto mi dice che lui si occupa di sistemi di sicurezza, che conosce il mio registratore; andando avanti riferisce di essere sospettoso, di non fidarsi delle persone e in particolare della moglie. Se io avessi acceso il registratore per errore o se gli avessi chiesto di poterlo accendere, ciò non avrebbe deposto per un buon inizio, come lo stesso paziente mi riferì successivamente.

Cos’era successo? Avevo sentito la sua paura, ma anche la sua rabbia e in generale la sua tendenza a controllare, così istintivamente preferii non dire nulla sull’utilizzo del registratore.
Sono molte le situazioni in cui mi ritrovo a dire delle cose che poi si rivelano vere.

L’INTERVENTO TERAPEUTICO
In definitiva un trattamento terapeutico efficace prende in considerazione:

Ciò che vuole la persona
L’analisi dell’impasse che l’ha portata a chiedere aiuto

Ciò porterà a una conoscenza del funzionamento psicologico della persona. Il passo successivo è comprendere quale esperienza la persona dovrebbe fare per superare il suo blocco e in che modo arrivare a realizzare questa esperienza.

Per progettare un intervento terapeutico efficace, è quindi necessaria una diagnosi, intesa come comprensione della personalità dell’individuo e del suo modo preferenziale di pensare, sentire e comportarsi. Questo processo di conoscenza, ovviamente non avviene solo attraverso l’osservazione statica della persona, ma anche ascoltando le risonanze emotive del psicoterapeuta, fenomeno denominato controtransfert. Questo modo di conoscere la realtà è in accordo con il nuovo orientamento scientifico che è stato elaborato dagli studiosi di fisica. Essi hanno verificato che l’oggetto che noi osserviamo viene conosciuto in base al nostro modo di osservarlo; noi non osserviamo la realtà così com’è, ma secondo la nostra prospettiva.

LA CONOSCENZA NELLA STORIA

Credo sia necessario specificare un punto: come conosciamo la realtà?

Fino alla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento si credeva che l’uomo potesse raggiungere una conoscenza pura della realtà attraverso la sua capacità razionale; era questa l’illusione dell’illuminismo che ancora oggi nei fatti non è stata abbandonata.

Con le scoperte scientifiche dei fisici dei primi del ‘900, si comprende che la conoscenza che possiamo ottenere è relativa. Un esempio semplice: noi vediamo i colori che il nostro sistema visivo ci permette di vedere, ma questi in realtà sono molti di più. Ciò nonostante noi crediamo, o più correttamente ci illudiamo, che la realtà sia costituita solo di quei colori, mentre in realtà sono solo una porzione molto limitata di quelli esistenti.

Un’altra interessante scoperta della scienza moderna è quella di aver compreso che, quando uno scienziato osserva un oggetto, la sua osservazione è condizionata da lui stesso, dalla sua presenza, dal suo modo di vedere. Per questo si afferma che le scoperte scientifiche ci dicono di più dell’osservatore che non dell’oggetto osservato.

In ambito psicologico ciò significa che la persona si comporterà in un certo modo perché è fatta così, ma anche perché entra in relazione con altre persone; magari con qualcun altro si sarebbe comportata in maniera differente, seppur lieve.

PER CONCLUDERE

Una diagnosi sarà costituita da tre livelli interrelati:

L’osservazione sindromica come da DSM V

L’utilizzo dei concetti dell’Analisi Transazionale per comprendere il funzionamento psicologico della persona (stati dell’Io, transazioni, giochi psicologici, carezze, impasse, ecc…)
L’analisi delle reazioni dell’osservatore (lo psicopsicoterapeuta) cioè cosa ha pensato, sentito, immaginato, intuito, etc. (il controtransfert)

La diagnosi non è definitiva. È sempre un processo relazionale; spesso con il procedere della terapia la persona scopre esperienze di sé che non ricordava e queste gettano, o possono gettare, nuova luce sul funzionamento psicologico della persona.
Altre volte le persone aspettano a rivelare alcune informazioni, perché hanno prima bisogno di costruire un rapporto di fiducia. Queste informazioni mancanti  possono essere determinanti al fine di procedere nel lavoro terapeutico.

ESEMPIO DI DIAGNOSI IN ANALISI TRANSAZIONALE

In Analisi Transazionale Psicodinamica, cerchiamo di individuare le esperienze relazionali infantili che bloccano il soggetto e gli impediscono di risolvere l’empasse evolutivo connesso al problema presentato.
L’obiettivo è quello d’identificare la relazione Genitore – Bambino, per comprendere le transazioni comunicative attraverso le quali egli costruisce le relazioni disfunzionali e porta avanti il proprio copione di vita disfunzionale.

Il caso di L.
Una paziente che chiamerò L. si presenta per disturbi del desiderio sessuale: il suo attuale partner lamenta l’assenza dei rapporti sessuali e soprattutto il non sentirsi desiderato dalla compagna.
La paziente ha vissuto una vita in cui ha assunto il ruolo di saggio e di salvatore; sempre disponibile per gli amici e per i familiari.
Ha sempre avuto relazioni soddisfacenti con gli uomini, anche se il primo compagno era poco disponibile a rapporti sessuali, perché impegnato in problemi personali e quello attuale è come un figlio per lei. Sembra che non possa vivere il ruolo di donna, ma solo quello di madre.
Questa difficoltà si rileva nel fatto che in terapia fa fatica ad affidarsi a me in quanto uomo; infatti tende a decidere lei le regole del setting terapeutico.
La paziente tende a instaurare relazioni in cui lei assume il ruolo di genitore e l’altro quello del bambino. Nella terapia questa dinamica si esplicita nella difficoltà della paziente a considerare il terapeuta come colui che si prende cura di lei.
Il desiderio sessuale si trova nella nostra parte bambina, quindi la difficoltà della paziente di accedere alla dimensione bambina in una relazione con un uomo, impedisce l’accesso al desiderio.
La paziente mi riferisce che, in terza media, pensando al suo futuro, desiderava proseguire gli studi e laurearsi, ma sente la madre che si lamenta delle difficoltà economiche e della difficoltà a poter permettere alla figlia di proseguire gli studi.
Così la paziente, anticipando la risposta dei genitori, pur soffrendo, comunica a loro che non vuole proseguire gli studi. Continua così ad assumere il ruolo di adulta in famiglia, andando a lavorare.
Intanto scopre che la madre tradisce il padre e prova un forte dolore e rabbia, perché si sente tradita in quanto figlia e in quanto donna.
Quest’episodio, che avviene in una fase in cui lei avrebbe dovuto vivere la propria femminilità,  la spinge ad avvicinarsi al padre, sostituendosi alla madre nel prendersi cura di lui e diventando una sorta di figlio maschio.
In sintesi l’impasse è tra una bambina che aveva bisogno di essere sostenuta, sia nel suo processo di costruzione di identità sociale sia sessuale e un Genitore che svaluta i bisogni della figlia e addirittura non ne è consapevole.
Per portare avanti il suo copione di vita, un copione senza amore e senza gioia, costruisce relazioni in cui può assumere il ruolo di Salvatore, per poi passare a quello di Vittima e così confermarsi che la vita è sofferenza e che non c’è via d’uscita.
Il gioco psicologico preferito è  “occupatissima”.
Solo il fallimento come madre e come compagna la pone dinanzi ad una riflessione su di sé; è troppo doloroso abbandonare il proprio ruolo difensivo e iniziare a sentire quei sentimenti tanto faticosamente sepolti. Ma sarà l’accettazione del terapeuta, che si accorge della sua sofferenza, che le permetterà di invertire la rotta e proseguire quel percorso evolutivo che era stato interrotto.
Iniziando questo processo di riscoperta di sé, la paziente costruisce un file rouge che lega la sua vita e inizia a prendere contatto con la fatica vissuta, iniziando così a esprimere i sentimenti e i pensieri sepolti. Si separa psicologicamente dai messaggi ricevuti dai propri genitori e ri-decide una vita in cui può prendersi cura di sé, godere del proprio essere donna ed essere felice.
Le ferite diventano così feritoie, attraverso le quali scoprire noi stessi e scrivere un capitolo nuovo della propria storia.

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