Qual è la mia personalità?

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“Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze che si svolge nella psiche, come espressione di tendenze orientate verso un fine che operano insieme o l’una contro l’altra. Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una concezione dinamica dei fenomeni psichici.”
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (1915-17)

Premessa

Phil: Stavamo parlando prima del carattere, mi hai fatto delle domande sul carattere, e allora si è parlato delle facce, ma la questione è molto più profonda di così. La questione è: tu ne hai di carattere o no? E se vuoi la mia sincera opinione Bob, non ne hai. Per la semplice ragione che ancora non provi rammarico per qualcosa.

Bob: Vuoi dire che non avrò carattere finché non avrò fatto qualcosa che mi rincresce?

Phill: No Bob. Perché di sicuro hai fatto tante cose di cui rincrescerti, solo che non sai quali sono. È quando alla fine le scopri, quando vedi l’assurdità di qualcosa che hai fatto, e desidereresti tornare indietro, cancellarlo, ma sai di non potere. Perché è troppo tardi. Quindi quella cosa non puoi che prenderla e portarla con te. Perché ti ricordi che la vita va avanti. Il mondo girerà anche senza di te. Alla fine tu non conti. È allora che acquisterai il carattere. Perché l’onestà emergerà da dentro di te. E come un tatuaggio ti resterà impressa nella faccia. Fino a quel giorno, in ogni caso, non ti puoi aspettare di arrivare oltre un certo punto.

Bob: Posso andare adesso?

Phil: Vai, vai.
(dialogo tratto dal film The Big Kahuna)

Questo dialogo esplicita, come solo l’arte sa fare, in questo caso l’arte cinematografica, il processo che conduce alla consapevolezza di sé.
La consapevolezza degli errori delle scelte passate e la sensazione d’irrimediabilità, ha la stessa funzione per la formazione di sé di quella che ha lo scalpello per l’artista.
Di solito deve accadere qualche evento importante, come ad esempio una separazione o un lutto, per rivedere la propria esistenza e comprendere cosa sia veramente importante per noi e per definire una nuova scala di valori su cui fondare la nostra vita.

Ma solo chi ha vissuto quest’esperienza può comprenderla. Essa non può essere compresa intellettualmente, perché la conoscenza non è un atto meramente intellettuale: non lo era nemmeno per i filosofi greci. La conoscenza è piuttosto un processo che interessa l’intera persona nelle sue diverse parti, sia razionali, sia affettive e quindi anche corporee.

A cosa serve la personalità?

La nostra personalità è l’equivalente del sistema istintivo innato degli animali, ma mentre gli animali possiedono già una serie di comportamenti che gli permettono di vivere, l’essere umano costruisce una serie di schemi, derivanti dalle relazioni interpersonali instaurate con i propri caregiver. Il nostro compito evolutivo sembrerebbe essere quello di diventare consapevoli di tali schemi e ampliarli. Ciò che rende l’uomo particolare è proprio la sua capacità di apprendere ed evolvere, attraverso un complesso sistema che permette di sentire e pensare, per elaborare piani di azione funzionali al nostro sviluppo.
Le organizzazioni di personalità rappresentano un riassunto, una sintesi, di ciò che abbiamo imparato per adattarci all’ambiente in cui viviamo; sono necessarie, ma al contempo possono rivelarsi delle gabbie.

Lo studio della personalità nella nostra cultura ha interessato l’uomo sin dall’antichità, ma è nell’Ottocento che ha inizio una tradizione clinica tesa a identificare dei tipi di personalità.
Uno dei primi esordi è rappresentato da uno scritto di Freud: “Carattere ed erotismo anale”, ma è con W. Reich, suo allievo, che lo studio e la cura della personalità viene approfondita sia negli aspetti descrittivi, sia nella metodologia di intervento.

Lo studio della personalità è affascinante, perché rappresenta il tentativo di ordinare il funzionamento mentale dell’uomo, individuando dei tratti costanti e tentando di individuare delle regole generali nella soggettività dell’esperienza umana. In questo periodo storico, gli studiosi tentano di integrare prospettive differenti, ognuna delle quali sottolinea degli aspetti dell’oggetto di studio.

La personalità sembra essere il frutto dell’interazione tra:

Temperamento: cioè caratteristiche di risposta agli stimoli esterni e interni geneticamente ereditate;

Pattern relazionali: cioè gli schemi di relazione appresi nell’interazione con i genitori o le persone che si sono prese cura del bambino;

Sistemi motivazionali: ossia quei sistemi di comportamento complessi a base neurobiologica, che motivano il comportamento partendo da un primo livello, mirante alla sopravvivenza, proseguendo poi verso un secondo livello, che si occupa di programmare e pianificare schemi di comportamento (ad esempio pianificare la coltivazione di un campo), fino a un terzo livello mirante alla possibilità di percepire i desideri;

L’influenza della cultura e della società nel plasmare i comportamenti: nella società dell’Ottocento la difficoltà degli uomini consisteva nella repressione delle emozioni a causa di regole a volte eccessivamente rigide, ma in un mondo piuttosto certo. Oggi la difficoltà è connessa all’assenza di una struttura sociale di supporto e di certezze, quindi l’uomo vive in uno stato di angoscia esistenziale, si sente solo e fatica a trovare un senso alla propria vita;

La neurobiologia: cioè, lo studio dei processi evolutivi neurobiologici che determinano la nascita della vita mentale.

Gli autori di diversi orientamenti, concordano nel definire la personalità “un modo relativamente stabile di pensare, sentire e comportarsi”.

In sintesi, ognuno di noi sulla base:

del proprio bagaglio genetico;
delle proprie esperienze relazionali con i genitori o con chi si è preso cura di noi;
dell’ambiente socio-culturale in cui è vissuto;

ha costruito un modo unico e irripetibile di percepire se stesso e il mondo interno a sé.

Le Organizzazioni di Personalità

Come possiamo percepire la realtà?

Per potersi liberare dai programmi imposti dal suo script, l’uomo deve fermarsi e pensare. Ma non può pensare alla sua programmazione finché non rinuncia all’illusione dell’autonomia.
Deve rendersi conto che finora non è stato libero agente come ama credersi, ma piuttosto il fantoccio di un Destino antico di generazioni.
Poche persone hanno il coraggio o l’elasticità di volgersi indietro e dare uno sguardo alle scimmie da cui discendono, e, coll’avanzare dell’età, il loro collo si irrigidisce sempre più.
(Eric Berne, Fare l’amore, 1971, p. 182)

“…il carattere dell’Io è un sedimento degli investimenti oggettuali abbandonati, contenente…la storia di tali scelte d’oggetto” (Freud, 1922)

PARANOIDE: la persona che presenta un’organizzazione paranoide ha paura, quindi vive in una costante ricerca di significati oscuri, di tracce rivelatrici delle verità nascoste dietro il significato apparente della situazione. Per questo deve iperattivare l’attenzione, che è evidenziata dalla circospezione e dall’analisi costante di ciò che la circonda. L’ambiente in cui è cresciuta ha messo in discussione la sua percezione della realtà e la persona si è sentita tradita, manipolata. E’ stata intaccata la sua fiducia.

SCHIZOIDE: la persona schizoide di solito ha subito una grave perdita nell’infanzia, ad esempio l’abbandono della madre, quindi ha dovuto imparare a fare da sola e a sopravvivere. Pertanto essa appare distaccata, autosufficiente, distratta e disinteressata alle cose terrene. Non si piega facilmente a compromessi e può tendere a una perfezione morale o spirituale, cioè tesa al miglioramento secondo un parametro interno a se stessa e non esterno. Non si lascia condizionare dai criteri di giudizio sociali, non si cura delle aspettative sociali tradizionali e segue prevalentemente dei criteri di guida interni.

NARCISISTA: queste persone hanno spesso dei genitori che usano i figli come loro prolungamenti, cioè pretendono che i figli portino lustro alla famiglia, che siano autonomi, degli ometti; in sintesi essi ricevono carezze per la loro autonomia e procurano carezze ai genitori attraverso i loro successi sociali. I figli così devono proteggere i genitori: “Solo se ci permetterai di ricevere gli apprezzamenti della società noi ti ameremo”. E’ per questo motivo che i narcisisti vivono nella costante paura di essere abbandonati; perché il fallimento sociale significa essere esclusi dal gruppo familiare. Essi sono costretti a eccellere; questo però li porta a usare gli altri per realizzare il loro compito. Essi fanno agli altri ciò che hanno ricevuto. La tragedia del narcisista è quindi l’incapacità d’amare; egli si relaziona agli altri solo come oggetti da usare e abbandonare secondo i suoi bisogni. Interrompe spesso una relazione, dopo un periodo breve, di solito quando l’altro incomincia a porre richieste relative ai suoi bisogni. Questo perché egli è in relazione con l’immagine idealizzata della donna-madre dalla quale vuole essere amato, mentre sarà, forse, ammirato. Deve diventare un uomo ideale per raggiungere la madre, è questo il suo progetto; pertanto la compagna diviene un ostacolo quando pone delle richieste affettive. In queste persone è avvenuta una deformazione di ciò che significa relazione umana, di ciò che significa amare e prendersi cura, ma c’è stata anche un’iper-attivazione dell’eccitazione causata dalle lodi ricevute, che sono state scambiate per amore. I narcisisti confondono il legame affettivo con il ricevere ammirazione; i genitori non li hanno amati ma lodati, confondendo il bambino che ha pensato e creduto che avere un legame significhi essere ammirati.

ANTISOCIALE: la persona che presenta un’organizzazione antisociale, ha vissuto in ambienti spesso crudeli e incapaci di empatia e per questo motivo ha imparato precocemente a difendersi, facendo leva sulla capacità istintiva di comprendere il pericolo. Il legame è vissuto essenzialmente come fonte di pericolo, probabilmente a causa di trascuratezza genitoriale o abuso fisico. Queste persone pertanto vivono con profondo distacco le relazioni e le esperienze affettive e tendono inoltre a instaurare legami sadici con gli altri, attraverso l’esercizio del potere e della distruttività.

ISTERICA: la persona isterica ha probabilmente vissuto in un ambiente in cui non le è stato permesso di mantenere relazioni d’amore. Ha un temperamento che predilige la sfera emotivo-affettiva, anziché quella cognitiva; la relazione con il mondo passa più attraverso l’affettività, a differenza per esempio di quello che accade a una personalità ossessiva, che invece utilizza il pensiero. Al fondo c’è una ferita, un tradimento affettivo; ad esempio un genitore con cui aveva un rapporto affettivo che improvvisamente si allontana. Queste persone possono apparire molto generose, affettuose, e lo sono, ma al fondo esse hanno deciso di non amare più e di non fidarsi, perché sono state tradite: c’è risentimento e anche la convinzione di non aver bisogno di nessuno. Inoltre, alcune delle persone che presentano un’organizzazione isterica, possono essere seduttive, in forma sottile o esplicita, ma ciò che davvero esse cercano non è sesso, bensì affetto. Non è raro che soffrano perché non sono consapevoli di essere seduttive e dei messaggi che inviano al partner. E’ probabile che queste persone siano state spaventate e non comprese, pertanto sono inibite e adattate. L’essenza del concetto d’isteria è di difesa contro l’espressione dell’istinto. La personalità isterica tende a esagerare i contenuti del pensiero, a mentire, simulare e dipendere. Inoltre, manifesta immaturità emotivo-affettiva, suggestionabilità, teatralità, vanità e irregolarità della vita sessuale.

OSSESSIVO-COMPULSIVO: la persona ossessiva ha come tema centrale il controllo. E’ una persona che ha vissuto in un ambiente altamente competitivo e aggressivo; spesso tale aggressività non è agita, ma espressa in altro modo, come ad esempio con i silenzi. I genitori di solito sono presenti, ma pretendono molto dai figli; sono molto intellettuali e poco affettivi e giocosi. Questa persona presenta un forte ma inappagato, desiderio di dipendenza e una riserva di rabbia nei confronti dei genitori, colpevoli di non essere stati più disponibili emotivamente. Le relazioni erano spesso prive di calore umano e piene di ostilità. Il tema centrale è: chi domina e chi è più bravo a utilizzare il pensiero per farlo. Tende quindi a negare qualunque forma di dipendenza, affrontando grandi fatiche per essere autonoma.

Maniaco-DEPRESSIVA: queste persone hanno vissuto ambienti familiari caotici che hanno impedito alla persona di costruire una base sicura. Il bambino vive con l’obiettivo di scongiurare l’abbandono e la sensazione di solitudine e di nulla. Per scongiurare questa sensazione di depressione, la persona si attiva, si muove. Essere in movimento, agire, ossia vivere la polarità maniacale, fa sentire la persona potente, perché le fa evitare la stasi, che invece implicherebbe entrare in contatto con la solitudine e l’abbandono. Finisce così con il vivere in maniera sconnessa dalla realtà e dagli altri: anziché costruire legami, egli usa i legami per prendersi un po’ di carezze. Questa persona non ha potuto comprendere cosa significa sentirsi protetti, amati, non ha potuto consolidare la sensazione interna di avere potere e di agire nella realtà, perché le energie sono rivolte alla sopravvivenza. Questi bambini spesso sono usati come merce di scambio dai loro genitori per separarsi dai propri (i nonni del bambino). I genitori pertanto sono vissuti come bambini incapaci di prendersi cura di loro, ma spesso sono presenti i nonni o altre figure con cui esiste una lotta. Mentre nel lutto normale la tristezza è connessa alla perdita specifica, nella depressione la persona sente di aver perso o che sia stato danneggiato il proprio sé. Queste persone non necessariamente appaiono tristi, possono essere persone apparentemente socievoli; amano bere, fumare, mangiare, parlare e spesso descrivono le proprie esperienze utilizzando analogie sul cibo. Al fondo queste persone trasformano l’esperienza psicologica dell’esser stati rifiutati nella convinzione che essi meritano di essere rifiutati, a causa della loro costitutiva indegnità.

Masochista: la persona masochista si sente indegna, colpevole, che merita rifiuto e punizione. Queste persone tendono all’autodistruttività, si sentono in costante pericolo di essere attaccati nell’autostima, nella sicurezza personale e nel benessere fisico. Un’altra forma del masochismo è quello “morale”, cioè soffrire per la realizzazione di valori morali; esempi costruttivi sono, ad esempio, Mahatma Ghandi e Madre Teresa. La persona che si comporta in modo masochistico tollera il dolore e la sofferenza nella speranza, cosciente o inconscia, di un qualche bene maggiore. Al fondo ritengo ci sia la credenza di esser stati trattati ingiustamente, ma che non sia possibile far nulla per modificare questo stato di cose.

Patologia e cambiamento
Senza un senso di colpa autentico non possiamo arrischiarci ad amare perché il terrore che proviamo per la nostra distruttività è troppo grande.
(S. Mitchell, psicoanalista e fondatore della psicoanalisi relazionale)

Non esiste una personalità normale o patologica, la patologia è connessa allo scompenso e alla comparsa dei sintomi per le mutate condizioni esterne o interne alla persona. Le condizioni esterne possono essere: separazioni, lutti, perdita del lavoro, malattia, etc. Le condizioni interne possono essere: risveglio d’impulsi sessuali o aggressivi inconsci, presenza di un super Io punitivo, etc.
Le condizioni interne si riferiscono all’impossibilità dell’apparato psicologico di contenere e/o reprimere i propri bisogni.

Freud ci ha insegnato che non esiste una situazione di malattia o di sanità; la patologia dipende dalla quantità dei sintomi. Ognuno di noi si sposta in un gradiente tra normalità e patologia.

Ad esempio una personalità ossessiva tenderà alla precisione esasperata in ogni attività quotidiana. Questa modalità comportamentale sarà disfunzionale se si esplica in un controllo o una rigidità ossessiva, ma può diventare positiva, se applicata a certe attività professionali, come ad esempio quella del chirurgo. Così come, una persona assolutamente equilibrata, può diventare aggressiva, se vede minacciata la vita dei propri figli, o può cadere in uno stato depressivo, se perde una persona cara.

Ogni personalità può funzionare a uno dei livelli strutturali (nevrotico, borderline, psicotico); esiste un quarto livello strutturale quello della “normalità”, cioè la situazione in cui la persona è capace di lavorare, amare e giocare, cioè ha raggiunto quello stadio psicologico evoluto che Eric Berne ha chiamato l’Adulto Integrato attraverso un processo di cambiamento/conoscenza della propria personalità.

Qui di seguito indico per ogni personalità alcuni possibili obiettivi di un processo di cambiamento di ciascuna personalità:

Il paranoico deve comprendere che sta proiettando fuori ciò che ha dentro;
Lo schizoide può imparare che è piacevole e rilassante ogni tanto affidarsi agli altri;
Il narcisista ha bisogno di comprendere che ha bisogno di essere amato e di amare e che, quando scenderà dall’Olimpo, l’aver usato gli altri gli porterà solo solitudine;
L’antisociale ha bisogno di sentire quanto male gli è stato fatto, per smettere di fare agli altri ciò che ha subito;
L’isterica ha bisogno di distinguere tra seduzione e bisogno di amore;
L’ossessivo-compulsivo ha bisogno di lasciarsi andare, imparare che esprimere le emozioni non implica necessariamente agirle e sperimentare cosa significa essere riscaldato da un’altra persona;
Il maniaco-depresso può sperimentare che esiste la pace, può smettere di scappare e stare;
Il masochista ha il bisogno di comprendere che è possibile costruire una relazione umana in cui ci sia rispetto per entrambe le parti.

Il processo di cambiamento di sé è un viaggio faticoso ma entusiasmante, che ci permetterà di vedere la realtà in maniera differente dal passato e soprattutto ci darà la possibilità di sentirci più integrati, solidi e liberi.

Bibliografia

E. Berne (a cura di M. Novellino), Intuizione e Stati dell’Io, Astrolabio, 1992.
E. Fromm, Dalla parte dell’uomo, Astrolabio, 1971.
G. O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina.
G. V. Caprara – A. Gennaro, Psicologia della personalità, Il Mulino, 1994.
J. F. Clarkin e M. F. Lenzenweger (a cura di), I disturbi di personalità, Raffaello Cortina, 1997.
M. Novellino, Stati dell’Io, Astrolabio, 1982.
M. Novellino, Psicologia clinica dell’Io, Astrolabio, 1991
M. Novellino, L’approccio clinico dell’Analisi Transazionale, Franco Angeli, 1998
N. McWilliams, La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio, 1999.
S. Mitchell, Il modello relazionale, Raffaello Cortina, 2002.
U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, UEF, 2007.

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